venerdì 24 luglio 2009

EMIGRANTE AL CONTRARIO

Non di sera quando la frescura rende più leggeri i pensieri, ma oggi in questo pomeriggio infuocato e onnipotente; adesso all'ombra di una veranda antica, quella dove mia nonna lasciava ad essicare al sole i cuori rossi dei pomidoro. L'orizzonte nel cielo quasi lattiginoso lo guardo con gli occhi a fessura e i versi di Salvatore Quasimodo mi cantano dentro con la stessa musicale ebbrezza di quando li lessi la prima volta e avevo poco meno di diciotto anni:


QUASI UN MADRIGALE

Il girasole piega a occidente

e già precipita il giorno nel suo occhio

in rovina e l'aria dell'estate

s'addensa e già curva le foglie e il fumo

dei cantieri. S'allontana con scorrere

secco di nubi e stridere di fulmini

quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,

e da anni, cara, ci ferma il mutarsi

degli alberi stretti dentro la cerchia

dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno

e sempre quel sole che se ne va

con il filo del suo raggio affettuoso.

Non ho più ricordi, non voglio ricordare;

la memoria risale dalla morte,

la vita è senza fine. Ogni giorno è nostro.

Uno si fermerà per sempre,

e tu con me, quando ci sembri tardi.

Qui sull'argine del canale, i piedi

in altalena, come di fanciulli,

guardiamo l'acqua, i primi rami dentro

il suo colore verde che s'oscura.

E l'uomo che in silenzio s'avvicina

non nasconde un coltello fra le mani,

ma un fiore di geranio.


La mia isola era lontana allora: un periodico incontro annuale. Ed io emigrante, giovanissimo ed attento seguivo il corso del sole verso sud e tendevo l'orecchio al suono di una canzone nascosta.

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